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ARLEQUINS consiglia “IL CORPONAUTA”

“Ecco a voi un album di progressive italiano diverso dal solito.”

Nuova e più che positiva recensione per “Il Corponauta” sulle pagine di ARLEQUINS

Grazie a Nicola Sulas per le bellissime e sincere parole.

Leggi qui l’articolo originale su www.arlequins.it

Ecco a voi un album di progressive italiano diverso dal solito.
Non è sinfonico, per la maggior parte, però c’è il mellotron, usato proprio come un mellotron, e ci sono i brani complicati suddivisi in sezioni con parti in tempi dispari. C’è il flauto ma non ci sono i testi incomprensibili. Questi sono invece abbastanza chiari se inquadrati nella storia poiché, ovviamente, stiamo parlando di un concept. Dato che è prog italiano molti potrebbero pensare che la voce faccia schifo, ma non è così, anche se a volte ha toni particolari e l’impostazione è molto diversa da quella tipica che si associa spesso al genere. C’è la suite d’ordinanza, la cover non è un’opera d’arte multicolore ma è abbastanza minimale e realizzata decentemente.
Dunque, che ha di speciale “Il corponauta”? È moderno, nel senso che non segue pedissequamente lo stile italiano classico ma cerca di crearne uno proprio puntando sui suoni e gli arrangiamenti più che sulla composizione.
Ma è veramente così? È complicato rispondere a questa domanda in poche parole. Il disco è eccezionalmente vario e ci sono parti dove il richiamo al passato è evidente. Il tutto è tenuto assieme da un filo conduttore non esile ma neanche troppo concreto. Ogni brano è veramente diverso dall’altro, per cui l’ascolto non è noioso. Prendiamo ad esempio i primi due titoli, nei quali c’è poca melodia, ci sono dissonanze create dalla chitarra, effettata in maniera molto acida e accompagnata dal mellotron e si ha l’impressione che la struttura sia caotica. Non è così, mi sembra tutto molto squadrato, complicato e pianificato e certi passaggi melodici e alcuni stacchi strumentali, soprattutto in “Il mondo dei pensieri”, ricordano atmosfere retrò. La differenza con la terza traccia, “Silenzi”, è marcata. Un arpeggio di chitarra introduce una specie di ballata progressiva cantautoriale molto melodica, con la voce che mostra sfacciatamente la propria ispirazione “indie” e pop. “Specchio” è ancora più “commerciale”, per usare un termine con connotazioni estreme. Il modo di sviluppare la melodia, le invitanti parti di synth e la struttura strofa-ritornello, comunque ben congegnata e complessa, tendono evidentemente a cercare la facile presa. Che dire invece di “Pioggia”? Sembra un perfetto miscuglio di soluzioni prog italiano anni ’70 mescolate a certi suoni tipici del Battiato dei primissimi ’80, con gli impasti vocali ispirati a certo pop-rock italiano di successo (alla Negramaro, per intenderci). Buona parte delle tracce successive hanno questa impostazione: belle melodie, parti strumentali complicate e tante armonizzazioni tra gli strumenti. A volte si finisce nel folk (“La stanza dei ricordi”) e in atmosfere cupe e arrabbiate (“Addio al corpo”). La suite è “Deserto”, non supera la magica soglia dei venti minuti e non toglie o aggiunge niente all’album, condensando al suo interno tutti i suoi aspetti, nonostante ad un ascolto attento sia un po’ prolissa e meno interessante della maggior parte delle altre tracce. Meglio i nove minuti conclusivi di “Il gran finale”, un tirato hard rock progressivo impreziosito da una coda melodica.
L’aspetto del concept è fondamentale, dato che “Il corponauta” è ispirato ad un romanzo omonimo di Flavio Emer, giornalista e scrittore affetto sin dalla nascita da distrofia muscolare e deceduto lo scorso anno. Emer ha raccontato la propria esperienza di disabile tramite la scrittura, arrivando con “Il corponauta” ad immaginare un mondo dove i pensieri vivono indipendentemente dal corpo e non hanno limiti fisici di nessun tipo. Emer nel suo romanzo immagina che uno di questi pensieri si impianti nel corpo di una persona la cui disabilità gli impedisce qualsiasi movimento, con lo scopo di capire cosa provi un’entità illimitata a vivere in confini così ristretti. Le liriche dell’album sono tutte incentrate su questa vicenda, e quelle di “Addio al corpo” sono state scritte da Emer in persona.
In definitiva l’album è molto bello. Ci sono tante cose che mi piacciono ma in generale ho apprezzato lo sforzo fatto per cercare l’originalità ed il distaccarsi dai cliché di genere. Mi piacciono i suoni e l’organizzazione strumentale, trovo molto caratterizzante la presenza di un percussionista, che riempie ogni brano in maniera evidente, mi piace il flauto e anche la voce e finalmente riesco ad interessarmi ad un concept.
Non serve altro, per me può bastare per consigliarne l’ascolto.

 

Nicola Sulas

 

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